Ciò che anima la mia professione sono gli incontri con le persone, con i loro vissuti e le loro narrazioni. 

Nel disagio, si può far fatica a collocarsi all'interno di uno scenario che abbia senso rispetto a quanto sta accadendo. Il racconto di sè costituisce un prezioso strumento per comprendere i modi di sentire e agire nonché i significati che si manifestano alla persona che soffre.

Il sintomo è la manifestazione di un significato che grida per essere ascoltato, e per rendere fecondo il dolore serve nominarlo, riconoscerlo e renderlo narrabile. La narrazione, nel suo dispiegarsi, offre la possibilità di rendere più comprensibile il proprio malessere: i racconti diventano strumenti utilissimi per ricostruire la trama di senso relativa al mondo esistenziale della persona, invaso dal malessere, al fine di potergli conferire un nuovo significato che abbia anche una valenza trasformativa e quindi terapeutica.

Il mio modo di lavorare è flessibile e costantemente alla ricerca di un intervento costruito “su misura” in relazione all'esperienza diretta della persona, all'interno di un clima di fiducia reciproca e di sospensione del giudizio. 

L'obiettivo è quello di sostenere la persona a cogliere nuovi significati, e quindi possibilità di azione, con cui riuscire a dare senso a una nuova forma di esperienza nella propria vita.